Daniela pensa di essere perseguitata da ricordi dolorosi.
Ma è proprio così? E se invece le immagini che emergono in lei
volessero solo riportarla sul suo percorso più autentico?
Daniela mi scrive chiedendo: «Come si fa a
cancellare un ricordo che ti procura un grande
dolore? Mia madre è morta l’anno scorso e ne
sento la mancanza, spesso mi sento tanto sola».
Cara
Daniela, perché il ricordo di tua madre, passata la
prima fase, non potrebbe darti invece pace e gioia?
Non è automatico che vada come dici tu. Come non
è automatico che la mancanza sia vissuta troppo
a lungo con dolore. La mancanza crea sofferenza
quando siamo troppo attaccati a una certa immagine di noi stessi, non dell’altro.
È l’io che non vuole
separarsi da una struttura mentale cui è legato, è
questo che fa soffrire. La sofferenza ha proprio lo
scopo di sciogliere, nelle lacrime, un legame che,
in quella forma è ormai superato e trasformare il
ricordo della persona cara in un’immagine capace
di curarci e proteggerci. Così le Tradizioni conservavano il ricordo degli antenati: ricordare significa
trasformare noi stessi e aprirci al nuovo, non fissarci
al passato.
Fai come i bambini Guarda come agiscono i
bambini.
La mamma deve uscire la sera, cosa fa
il piccolo? «No mamma! No mamma! No mamma!».
Lui piange, la mamma piange, «Vengo anch’io»,
«Non puoi»: un inferno. Arriva la nonna, saggia,
e dice sottovoce alla fi glia: «Dai, vai via, non farti
vedere, sparisci». La mamma esce e dopo un minuto il bambino gioca e ride tranquillo.
Eppure è sempre lo stesso. Staccato dal senso di colpa della
mamma - che non era amore, ma attaccamento a
un’immagine unilaterale di sé come “mamma buona” - il piccolo si è finalmente distratto.
“Distrarsi”
è un potere immenso dell’anima. Solo un’epoca
superficiale come la nostra continua a rivangare
il passato, in gran parte seguendo una concezione sbagliata della psicologia.
Allora, quando arriva un ricordo, il primo errore che non devi fare
è commentarlo, perché così il ricordo si riempie
dell’energia del passato.
Mia mamma è morta, mi
viene in mente un suo ricordo.
Io posso fare quello
che fai tu: «Che ferita, mamma, che dolore, perché mi
hai lasciato?».
Oppure posso dire. «Ecco l’immagine di mia mamma che si deposita dentro di me e io la
accolgo senza dirmi niente, e aspetto. Aspetto qualcosa
che non so cos’è».
Questo è stare con se stessi: allora
l’immagine che arriva non viene più riempita dal
passato, ma diventa un’immagine evolutiva.
La solitudine è un’alleata
Tu dici di sentirti sola:
ma il destino dell’uomo e della donna è la solitudine. Chi non sa star solo, o chi non impara, incontrerà
molte sofferenze. La solitudine ti disturba perché
non la guardi nel modo giusto. Eppure tutte le sere
vai a letto a dormire, nel buio. C’è solitudine più
grande di quella? E in quella solitudine, nel Regno
della Notte, compare il miracolo dei sogni.
Quindi:
ci sono compagni di viaggio, immagini, energie che
vengono solo dalla solitudine.
Non dalla compagnia. Qualcosa da dentro manda la solitudine per
farti crescere, per separarti dalla Daniela bambina
che viveva nell’ombra della mamma, per farti diventare donna: il vero problema è che tu la guardi
come un nemico. Invece è il tuo miglior alleato.
L’immagine ti cura
I bambini, ancora, sono maestri della solitudine: possono giocare da soli per
ore. E nella solitudine evocano vari personaggi. La
principessa, la strega, la fata, il nemico… Tutta la
partita è uscire da ciò che chiamiamo “reale”.
«Io
sono Raffaele, sono fatto così, con questi genitori, con
questa relazione, questa storia, con questi interessi e non
cambierà mai niente». Questo è il reale: un insieme di
convinzioni superficiali. Fuori dal “reale” ci sono le
immagini: immagino di essere una principessa che
incontra un cavaliere. Immagino di incontrare una
fata. Immagino un incantesino. L’immagine sostituisce il “reale” e ti cura. L’immagine che viene da
dentro, l’immagine antica. E anche l’immagine delle
persone care, depurata dagli attaccamenti dell’Io.
Per questo torna il ricordo: per curarti.
Di Raffaele Morelli - Direttore Riza
Qualcosa da dentro
ti manda la solitudine
per farti crescere, per
separarti dalla bambina
che ancora pensi di essere.
Quelle immagini attivano
nuove energie e nuovi
stati di coscienza
L’ESERCIZIO
Immagina l’animale amico
e cambi coscienza e realtà
Nei gruppi di terapia al Centro Riza di
Medicina Naturale facciamo spesso un
esercizio che consiste nel chiudere gli
occhi e immaginare un animale amico e
alleato. Provate anche voi: chiudete gli
occhi. Immaginate un animale con cui
sentite un’affinità, visualizzatelo dentro
di voi, dentro i vostri occhi. Trattenete
l’immagine, osservate l’animale nel suo
ambiente, sentitelo vicino a voi, dentro di
voi. Ci vogliono pochi secondi per farlo.
E
può sembrare una cosa poco importante,
invece con questo semplice gesto avete
richiamato l’energia animale, che è
l’energia più antica che abita il cervello,
chiedendole di scendere in campo e
trasformare il vostro stato di coscienza.
Non ci siete più voi, ci siete voi con
un’immagine animale.
Il vostro cammino
cambia. Come Daniela, Come Marco, come
Filippo non potete farcela: ma come orso,
o come aquila, o come gatto, entrate in
rapporto con energie differenti. Comincia
un’altra partita. L’immaginario scende in
campo e tutto diventa possibile.
Riza - Alkemill Naturopatia e Dintorni
Commenti
Posta un commento